Valverde, l’oro Mondiale di un ciclista fuori dal comune
A Innsbruck si è concluso un inseguimento durato quindici anni
Da dove cominciamo? Dalla medaglia d’argento al Mondiale di Hamilton di quindici anni fa, dalla caduta nella prima tappa del Tour de France 2017 o dal secondo posto della Freccia Vallone di questa primavera?
Perché per comprendere la grandezza del successo mondiale di Alejandro Valverde a Innsbruck e le lacrime che lo hanno sopraffatto dopo il traguardo bisogna riavvolgere il nastro di una carriera costellata di successi e di sconfitte, di periodi d’oro e di periodi di stop (la squalifica per doping del 2010-2011 e l’infortunio del 2017).
Non c’è in tutto il gruppo un corridore come Valverde; ce n’erano fino agli anni Ottanta, quando tutti i corridori di vertice lottavano da febbraio a ottobre, nelle gare in linea e in quelle a tappe. Era un ciclismo europeo e non globalizzato, con squadre dalla rosa ridotta e senza grandi turn over.
Negli anni Novanta è cambiato tutto. Il ciclismo è andato verso una specializzazione esasperata e una separazione netta degli obiettivi. Il Mondiale di Innsbruck è illuminante in tal senso. I tre vincitori dei grandi giri di quest’anno hanno disertato un appuntamento adattissimo alle loro caratteristiche tecniche: Thomas e Froome non hanno preso il via e Yates ha salutato la compagnia dei migliori quando mancavano ancora 46 km al traguardo.
Valverde alla logica della specializzazione, così come a quella delle gare utilizzate come allenamento, si è sempre opposto a suon di risultati. Il suo palmarès è quantità e qualità: fra i suoi 122 successi ci sono 4 Liegi-Bastogne-Liegi (2006, 2008, 2015 e 2017), 5 Freccia Vallone (2006, 2014, 2015, 2016 e 2017), 2 Clasica de San Sebastian (2008 e 2014), 3 Volta a Catalunya (2009; 2017 e 2018) 2 Criterium du Dauphiné Libéré (2008 e 2009), una Vuelta al Pais Vasco (2017), tappe del Giro, del Tour e della Vuelta. Nei grandi giri ha ottenuto 8 podi: 6 alla Vuelta (vinta nel 2009), 1 al Giro e 1 al Tour.
Non più tardi di due settimane fa Valverde aveva perso il podio della Vuelta a Espana sull’ultima salita. A 38 anni il murciano si era arreso all’evidenza di non essere più competitivo per una corsa di tre settimane e aveva rimandato tutti al Mondiale.
Valverde e il Mondiale: una rincorsa lunga 15 anni
La rincorsa lunga quindici anni è cominciata il 12 ottobre 2003, ad Hamilton (Canada). Valverde – allora in forza alla Kelme – si era presentato al Mondiale in grande forma, sulla scia di due successi di tappa e il 3° posto alla Vuelta a Espana. Nel finale di corsa Igor Astarloa aveva colto l’attimo e lui si era dovuto accontentare dell’argento, primo del gruppo dei battuti.
L’anno successivo, a Verona, aveva vinto un altro suo compagno, Oscar Freire, e lui si era piazzato in sesta posizione. Nel Mondiale “casalingo” di Madrid solo Tom Boonen era riuscito a mettergli la ruota davanti e nel 2006, a Salisburgo, si era piegato a Paolo Bettini ed Erik Zabel. A 26 anni, insomma, Valverde aveva già tre medaglie mondiali, ma nessuna vittoria.
A cavallo fra gli anni Zero e gli anni Dieci il corridore murciano perdeva il feeling con la prova iridata: 57° nel 2007 a Stoccarda, 37° nel 2008 a Varese, 9° a Mendrisio nel 2009 e assente per squalifica nel 2010 e nel 2011.
Rientrato dopo lo stop impostogli in seguito alle indagini dell’Operacion Puerto, Valverde infilava tre terzi posti consecutivi: a Valkenburg nel 2012, a Firenze nel 2013 e a Ponferrada nel 2014. La sconfitta più dolorosa delle tre era proprio quella del circuito fiorentino.
Con “Purito” Rodriguez all’attacco, Valverde si faceva sfuggire Rui Costa e il portoghese indovinava il finale della vita battendo l’iberico.
Quattro anni fa, a Ponferrada, Valverde era diventato il ciclista con il maggior numero di medaglie nella storia dei mondiali su strada. Niente da fare, la vittoria sembrava “stregata”. Nei giorni della vigilia, il sito Cyclingnews aveva azzeccato una metafora perfetta per descrivere la relazione di Valverde con il Mondiale: quella della Balena Bianca perennemente in fuga dal capitano Achab.
Nel luglio 2017, dopo un inizio di stagione sfavillante, la frattura della rotula e dell’astragalo della gamba sinistra e un profondo taglio nella zona tibiale mancina avevano fatto temere il peggio. La peggiore delle ipotesi era un ritiro anticipato, mentre la più diffusa era quella secondo la quale un corridore di trentasette anni non sarebbe più potuto tornare competitivo ad alto livello dopo un simile infortunio.
Il percorso di Innsbruck è stato un obiettivo terapeutico per Valverde che al traguardo austriaco aveva iniziato a pensare già da tempo. Lo scorso autunno lo spagnolo si è rimboccato le maniche, ha rinunciato a un rientro-test a fine stagione, preferendo rimandare al gennaio di quest’anno il ritorno.
Sin dalle prime gare stagionali Valverde ha fatto capire di essere lo stesso della primavera 2017. Forte in salita, a cronometro e in volata, Valverde ha vinto le prime quattro gare a tappe corse nella stagione 2018: Volta a la Comunitat Valenciana, Abu Dhabi Tour, Volta Ciclista a Catalunya e La Route d’Occitanie.
Nelle classiche di primavera, però, si è aperta una piccola crepa. Sul muro della Freccia Vallone il francese Julian Alaphilippe lo ha battuto sul tempo. Valverde è scattato con qualche metro di ritardo, quando ha provato a riportarsi sotto il transalpino era già sul traguardo. Il successo di Alaphilippe nel “giardino” di casa di Valverde deve aver fatto credere a molti che fosse in atto un passaggio di testimone.
Eppure, nonostante le 38 primavere, Valverde non ha fatto quello che ci si poteva attendere da lui: un lungo percorso di avvicinamento a quella che sarebbe stata la sua ultima occasione per diventare campione del mondo.
Valverde si è speso per la causa Movistar sulle strade del Tour de France. È rimasto in zona maglia gialla fino al giro di boa, è andato in fuga da lontano sulle Alpi e sui Pirenei, si è piazzato 14° nella generale e 12° nella classifica a punti.
Alla Vuelta a Espana è andato al di là di ogni aspettativa: ha vinto la seconda tappa sull’arrivo di Caminito del Rey, ha battuto in volata nientemeno che Peter Sagan ad Almadén, è stato protagonista sulle salite sfiorando a più riprese la maglia rossa. Le défaillance nelle ultime due giornate di gara gli sono costate il podio, ma lo spagnolo si è dichiarato comunque soddisfatto del 5° posto ottenuto al cospetto di corridori con 12-15 anni in meno di lui.
Dopo il training camp a Sierra Nevada, la nazionale spagnola ha perso l’aereo ed è arrivata a Innsbruck venerdì, in ritardo su tutte le altre selezioni. Sabato c’è stata la prova percorso. Questa mattina Valverde è partito dividendosi i favori del pronostico con Julian Alaphilippe.
Mondiale Innsbruck 2018: com’è andata la corsa
Su un circuito con un dislivello di 4670 metri con una salita finale che prevedeva un dislivello di 500 metri in 3 km e una punta massima del 28% non poteva che crearsi una corsa a eliminazione. La durezza del percorso ha creato condizioni simili a quelle di una corsa a tappe, con una selezione da dietro e una scrematura che ha fatto emergere gli scalatori.
La gara è stata caratterizzata fino all’ultimo giro da una fuga che raggiunto un vantaggio di 14’ a 118 km dal traguardo. Le nazionali hanno lavorato per erodere progressivamente il vantaggio dei battistrada e a una novantina di chilometri dal traguardo il tre volte iridato Peter Sagan si è arreso all’evidenza: quella di un circuito troppo duro per lottare per il poker.
La corsa vera e propria è iniziata a 3 giri dal termine, quando la Spagna ha deciso di mettersi in testa e guidare la rincorsa ai battistrada.
A una sessantina di chilometri dal traguardo Primoz Roglic è caduto in una curva e ha iniziato un lungo inseguimento culminato nel giro successivo.
A 50 km dal traguardo Caruso, Fraile e Van Avermaet hanno provato la soluzione di forza stimolando così una maggiore veemenza del gruppo nell’erodere il vantaggio degli uomini di testa. Sulla penultima salita di Igls gli attacchi in testa al gruppo hanno fatto crollare Martin, Poels, Zakarin, Simon Yates e Kwiatkowski, un altro dei favoriti di giornata. Sono stati soprattutto i luogotenenti di Italia e Olanda a spingere, mentre la Spagna è stata alla finestra.
Si è così giunti all’ultimo giro con la coppia di testa formata da Kasper Asgreen e Vegard Laengen in vantaggio di 2’18” sul gruppo guidato dall’Italia. Nell’ultima ascesa di Igls gli uomini di Davide Cassani hanno imposto un ritmo che per molti è diventato insostenibile. Quando gli olandesi Kruiswijk e Oomen hanno attaccato, nelle retrovie del gruppo Nibali e Van Avermaet hanno alzato bandiera bianca.
Conclusa la fuga di giornata è stato Kennaugh ad andare all’attacco, seguito da Valgren. Il danese ha iniziato la discesa con una manciata di secondi su di un gruppetto composto dallo stesso Kennaugh, Pinot, Izagirre, Costa, Lutsenko e Moscon.
Il portoghese campione del mondo di Firenze 2013 ha tentato l’allungo in discesa, ma Valgren ha guadagnato terreno arrivando all’ingresso di Innsbruck con 29” di vantaggio sugli inseguitori. Nei chilometri precedenti l’ultima asperità di giornata è stata la Francia a prendere in mano la situazione.
Poi è arrivato l’Höttinger Höll. Bardet ha attaccato il muro in testa per favorire l’attesa azione di Alaphilippe che ha però ceduto proprio quando la corsa entrava nella fase calda. Davanti si è formato un quartetto con il francese, Moscon, Valverde e un sorprendente Woods.
Valverde ha lasciato che fossero gli altri a promuovere l’azione e si è limitato a controllare. Woods ha provato ad allungare: Moscon ha perso qualche metro ma è rientrato con grinta e determinazione. Dietro è rimasto il solo Dumoulin a inseguire i quattro di testa.
Sul tratto al 28% Moscon ha ceduto definitivamente e Dumoulin, per attenuare la difficoltà della salita, si è messo addirittura a zigzagare.
Valverde, Bardet e Woods hanno terminato l’ascesa con una dozzina di secondi su Dumoulin e Moscon, ma mentre l’olandese ha avuto la forza per lanciarsi all’inseguimento del trio in discesa, l’italiano non è riuscito ad avere la lucidità necessaria al recupero.
A 3 km dal traguardo Dumoulin si è portato a 7” dai battistrada e ai 1600 metri ha ultimato la sua spettacolare rimonta.
Valverde si è ritrovato in testa, nella più scomoda delle posizioni. Ha tenuto alta l’andatura e si è voltato più volte sia per controllare i compagni di fuga, sia per verificare che non rientrassero Moscon o altri pericolosi contendenti.
Ai 300 metri Valverde ha fatto partire la volata e nè Bardet (2°), né Woods (3°) sono riusciti a impensierirlo.
Dopo il trionfo lo spagnolo ha lanciato un urlo liberatorio. Nelle interviste post gara non è riuscito a trattenere le lacrime: ha ringraziato i compagni e ha parlato di un “sogno”, di qualcosa di “incredibile”.
Una vittoria che fa contenti tutti
Sul podio delle premiazioni c’è stato un fuori programma. In una giornata che lo ha visto lontano dai riflettori Peter Sagan ha indossato i panni del valletto ed è andato a mettere la medaglia d’oro al collo del corridore che più di ogni altro meritava il titolo quest’oggi.
È proprio il caso di dire che Valverde mancava all’albo d’oro del Mondiale tanto quanto il Mondiale mancava al suo palmarès.
A 38 anni e 5 mesi il murciano è diventato il secondo iridato più vecchio della storia, il quinto spagnolo a vestire la maglia arcobaleno e ha allungato nella classifica dei podi (7) diventando praticamente imprendibile…
Nei commenti a caldo era percepibile, anche fra i battuti, la stima con cui il gruppo guarda a questo corridore che non ha mai fatto polemiche e che ha vissuto il suo ruolo con professionalità e serietà.
Lo scorso febbraio, quando è tornato alla vittoria dopo l’incidente nella seconda tappa della Volta Valenciana, nella foto al traguardo si notava perfettamente il sorriso dell’avversario Luis Leon Sanchez da lui preceduto allo sprint.
Nell’aprile 2017, all’indomani della morte di Michele Scarponi, Valverde vinse la sua quarta Liegi e decise di lasciare il premio della gara alla famiglia del corridore marchigiano con il quale aveva condiviso tanti chilometri sulla strada.
“Con questa vittoria mi posso ritirare tranquillo” ha detto dopo il successo. Quando avverrà non lo sappiamo. Intanto c’è almeno una stagione in cui portare la maglia più bella in giro per il mondo. E nel 2020 la gara olimpica su strada si svolgerà su di un percorso con 5000 metri di dislivello con molti punti in comune con quello di Innsbruck. Non è che a 40 anni El Embatido…