Non è un Paese per pattinatori (ma qualcosa sta cambiando)
Milano ha appena ospitato i Mondiali di pattinaggio di figura, che l’Italia ha concluso con zero medaglie, ma due preziosi ed emozionanti quarti posti (di Carolina Kostner e di Anna Cappellini-Luca Lanotte). Questo è uno sport in cui il nostro Paese fatica a far emergere nuovi talenti, ce ne è uno ogni due-tre generazioni (se facciamo il paragone con Russia, Canada o Usa), anche se per fortuna i nostri campioni sono molto longevi, basti pensare ai tre che abbiamo appena citato che sono tutti over 30. Ma, appunto, i giovani? Nonostante l’exploit di Matteo Rizzo ai Mondiali Juniores (bronzo), i problemi sorgono quando i nostri ragazzi devono affrontare le gare senior. Le ragioni vanno cercate alla radice e così abbiamo provato a indagare su quanto costa e quali sacrifici comporta oggi la pratica del pattinaggio di figura in Italia.
Gli alti costi della pratica agonistica e la carenza di strutture dedicate lo rendono infatti uno sport di nicchia. A differenza però di altri sport di nicchia, seguiti solitamente da un gruppo di spettatori ristretto, il pattinaggio di figura ha dalla sua una tale spettacolarità da attirare una potenziale utenza di grandi proporzioni, in termini sia di spettatori televisivi sia di praticanti. Alle Olimpiadi invernali è tra gli sport più seguiti. Anche tra i meno sportivi, chi non si ferma rapito davanti alla perfezione di un triplo Lutz o ai volteggi di Carolina? E chi tra i più giovani non vorrebbe imitarli quando li vede scivolare sul ghiaccio con una naturalezza che fa sembrare tutto così facile?
Le Olimpiadi di Torino hanno avuto un effetto traino incredibile, tanto che alla loro conclusione si è registrato, negli impianti disponibili in Italia, soprattutto nelle città, un boom di iscrizioni che ha superato la capacità degli impianti stessi. E le piste natalizie, che ormai ogni paese installa, vengono prese d’assalto da una marea di entusiasti pattinatori. Eppure, nonostante questo potenziale, questa disciplina fatica a decollare sul suolo italico. È vero che siamo un Paese prevalentemente mediterraneo, teoricamente lungi dall’avere una vocazione per gli sport invernali. È anche vero però che al giorno d’oggi il fattore climatico è superabile, visto che nascono impianti sciistici anche tra le sabbie del deserto degli Emirati Arabi.
Quanto costa praticare pattinaggio in Italia
A conclusione di questi Mondiali abbiamo fatto quattro chiacchiere sulle criticità e il futuro del pattinaggio di figura in Italia con chi rappresenta le due facce della medaglia: la pratica agonistica e l’organizzazione. Cominciamo con le domande ad Anna, mamma di Valentina, una giovane atleta lombarda che milita con successo a livello regionale.
Riteniamo che tra le cause dello scarso successo del pattinaggio agonistico in Italia ci siano i costi che non tutti possono permettersi. Brutalmente, conti alla mano, quanto costa praticare questo sport a livello agonistico?
“Il costo del ghiaccio e quello delle lezioni (in gruppo e individuali, con i vari specialisti per salti, passi, trottole, coreografia) sono le voci che incidono maggiormente. Entrambi variano molto da struttura a struttura e da città a città. Nelle località montane il ghiaccio ha costi sensibilmente inferiori rispetto alle città. C’è poi l’abbigliamento tecnico per gli allenamenti, che, trattandosi di ragazzi che crescono, va cambiato con una certa frequenza (circa 600 €). Quanto ai pattini, se il piede non cresce troppo, un paio di lame può durare un paio d’anni; la scarpa invece non dura più di un anno, soprattutto se si fanno i salti doppi o tripli. A questi livelli è facile spendere, tra lama e scarpa, sui 1000 €. A ciò vanno aggiunte le spese per le gare: oltre alla quota di iscrizione ci sono il costo degli abiti da gara (uno o due all’anno), le spese per l’assistenza, quelle di viaggio e talvolta di soggiorno per atleta e allenatore (per esempio se si gareggia di mattina presto oppure se sono previsti un programma corto e uno lungo in due giorni diversi). In estate poi gli impianti in città chiudono ed è indispensabile frequentare degli stage, che solitamente si svolgono in località montane o all’estero. E anche qui mettiamo in conto il costo del ghiaccio, delle lezioni, del viaggio e del soggiorno di atleti e allenatori. Ai costi degli allenamenti on-ice vanno poi aggiunti quelli per la parte off-ice, la danza (classica e moderna), la preparazione atletica, il pilates… A conti fatti, se si pattina ad alto livello, è facile arrivare ai 20.000 € all’anno“
Quanti sacrifici comporta per la famiglia la pratica del pattinaggio agonistico da parte di una figlia?
“In primo luogo c’è il sacrificio richiesto ai ragazzi, la difficoltà di conciliare lo sport con lo studio. Valentina non pattina tutti i giorni, perché la sua priorità è la scuola. Eppure passa il weekend sui libri per potersi allenare in settimana. Sempre che non ci siano gare. In quel caso è costretta a studiare di sera, nonostante la stanchezza. Non so come riesca a conciliare sport e studio chi si allena diverse ore al giorno. Anche la vita sociale risulta penalizzata e il tempo per lo svago è quasi inesistente. In estate poi le piste in città chiudono per almeno un mese e, per non interrompere l’allenamento, bisogna prevedere qualche settimana di stage nelle località montane o all’estero. Per la famiglia, oltre naturalmente all’impegno di accompagnare i figli, c’è anche un esborso notevole. Se si è mediamente benestanti, questo può significare la rinuncia a qualche uscita al ristorante o a teatro e il ‘ridimensionamento’ di viaggi e vacanze. Le rinunce sono inevitabili. Per le famiglie meno abbienti può diventare difficilmente sostenibile”
Hai mai conosciuto qualcuno che si sia ritirato per questioni economiche?
“Ovviamente c’è un po’ di pudore a parlare di questo aspetto. Nessuno me lo ha mai detto espressamente, però vedo ragazzi veramente bravi e promettenti che si allenano molto meno degli altri della stessa categoria e anche qualcuno che ha abbandonato. Il fattore economico è una ragione molto plausibile”
Non c’è nessun sostegno o agevolazione per i più dotati che non possono permettersi di seguire con la pratica?
“A livello regionale non credo; a noi non è mai giunta alcuna notizia di agevolazioni. Per gli atleti che raggiungono il livello Nazionale o Elite non saprei”
Pensi che molti per questo motivo, si arrendano prima ancora di cominciare?
“L’interesse per il pattinaggio indubbiamente c’è. Ai Mondiali i biglietti per alcune gare erano esauriti con largo anticipo. I corsi di avviamento sono affollatissimi, tanto che ogni gruppo di bambini ha a disposizione una ‘strisciolina’ di pista larga 2-3 metri e lunga 30 in cui apprendere i primi rudimenti. La maggior parte non va oltre. Qualcuno viene incoraggiato a passare al preagonismo. Molti si fermano lì. Di quelli che passano all’agonismo una parte abbandona dopo i primi anni… Se ci pensiamo, l’icona del pattinaggio italiano è una trentunenne. Carolina è bravissima, ma forse la sua età è un indizio della difficoltà di un ricambio generazionale“
Il pattinaggio in Italia dopo Carolina Kostner
Su quest’ultimo punto, la mancanza di ricambio generazionale, passiamo la palla ad Andrea Garello, consigliere federale e responsabile del settore Figura della FISG:
“Il motivo per cui abbiamo un ricambio così lento è dovuto a varie ragioni: innanzi tutto abbiamo una base numericamente molto limitata. I talenti sono anche un fatto statistico; quanto più la base è ampia tanto più c’è la possibilità che ci siano dei talenti autentici. Un altro motivo è la dislocazione delle piste: l’80% degli impianti, se non di più, è in località piccolissime. Al Nord c’è un bacino potenziale enorme: Novara, Verona, Parma le grandi città insomma, senza arrivare alle metropoli, che non hanno impianti. Qui ci sarebbe la possibilità di avere migliaia di atleti, mentre nei paesini, la base su cui lavorare è quello che è. Questi sono i due fatti strutturali. Poi secondo me c’è un altro aspetto che non è solo della FISG, ma è tipico dell’Italia nei cosiddetti sport minori, ossia l’idea che tu atleta, devi arrivare da solo. Quando poi sei arrivato ti sponsorizzo, mi prostro, ti riconosco il diritto di fare quel che vuoi, però fondamentalmente devi arrivarci da solo. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che i pochi che riescono ad arrivare in questa situazione, con la difficoltà delle piste, dovendo magari fare chilometri ogni giorno per allenarsi e tutto il resto, sviluppano una tale capacità di resistenza alle avversità che poi, se arrivano al top, ci restano fino a trent’anni.
Un’altra criticità è che c’è poca programmazione. Noi abbiamo iniziato questo quadriennio con l’idea di costruire un progetto strutturato per i giovani. Abbiamo così immaginato di creare un contenitore dove i ragazzini, man mano che emergono, vengono messi sotto osservazione, in qualche modo seguiti e assistiti, così che, prima di tutto, non li perdiamo di vista: non deve più accadere che ciascuno cresca nel suo paesino, poi a un certo punto riesca a fare il botto e allora incomnci a essere interessante. Cerchiamo di capire presto chi sono, chi è il potenziale nostro futuro e proviamo a costruire un progetto. All’inizio non sapevamo neanche chi fossero i giovani promettenti, li abbiamo selezionati andando a vedere chi aveva fatto certi elementi tecnici. Ad esempio scopriamo che Rossi ha 11 anni e ha fatto un triplo. Andiamo a prendere Rossi. Se un atleta incomincia a raggiungere certi livelli tecnici che appaiono significativi in proporzione alla sua età, lo inseriamo in questo gruppo che si raduna di tanto in tanto con uno staff multidisciplinare creato dalla Federazione e viene seguito.
L’obiettivo adesso è di affiancare a questi raduni collettivi – che sono abbastanza complicati perché possono essere fatti al massimo una o due volte all’anno, nel momento della stagione in cui non ci sono le gare, in cui tutti sono disponibili a spostarsi – dei mini-raduni di questi giovani promettenti, su base locale. Questo lo possiamo fare in un week end e in questo modo possiamo seguirli da vicino in modo più continuativo”
Qualcosa sta cambiando e ci fa prospettare un futuro più roseo per il nostro pattinaggio. Se però la base è così limitata come si diceva, non è forse anche colpa dei costi molto elevati che non tutte le famiglie possono permettersi? Come aiutare economicamente i giovani atleti più promettenti?
“La cosa interessante è infatti che questa operazione è sfociata in un sistema di borse. Attualmente sono sette o otto i giovani borsisti (due o tre sono temporaneamente fuori dal gruppo perché si sono infortunati), provenienti da tutta Italia. Uno di questi è stato Matteo Rizzo (Bergamo), il primo che è entrato in questo programma di contributi. I ragazzi ricevono tutti i mesi una quota per concorrere ai loro costi di ghiaccio e tutto il resto. Sono ragazzi che non hanno ancora l’età per entrare nei corpi militari. Daniel Grassl (Egna), che credo sia il più giovane pattinatore ad avere chiuso in gara un quadruplo Lutz ed è il più promettente junior italiano, ad esempio, è entrato nel programma a 13 anni. Sono nel programma Elisabetta Leccardi (Milano), che ha gareggiato ai Mondiali di Milano, e Lucrezia Beccari (Torino), che ha partecipato ai recenti Mondiali Junior di Sofia. Ed altri che si allenano a Trento, a Cavalese, a Milano. Questa è una novità di questo quadriennio. Abbiamo cercato di strutturare il discorso giovani proprio per non trovarci come ci siamo trovati dopo Sochi, quando ci siamo detti: ‘Ma che prospettive abbiamo? D’accordo, portiamo fino a PyeongChang questi grandi campioni, ma poi? Che futuro abbiamo? Dobbiamo iniziare a pensarci ora. Infatti questa squadra giovanile io la chiamo ‘Pechino Express’, perché è stata impostata quattro anni fa pensando già ai Giochi di Pechino, e ogni volta che li incontro dico loro: ‘Se due di voi arriveranno alle Olimpiadi di Pechino, io avrò fatto il mio dovere’.
Il problema dei finanziamenti qual è? Che di cento atleti che intorno ai 9-10 anni sembrano promettenti, quando gareggiano a livello regionale, statisticamente non più di un paio arriveranno a livelli interessanti su base nazionale e internazionale. Perché per quanto tu possa essere uno che si impegna, comunque ci vuole anche una componente di talento e di predisposizione fisica che è quella che poi ti fa fare l’ultimo passo. Non si diventa Carolina Kostner se non ci si applica forsennatamente, ma non lo si diventa soltanto applicandosi. Devi avere quel qualcosa in più. Ora, credo sia evidente che la Federazione non può assolutamente pensare di supportare tutte queste ipotetiche, perché sarebbe letteralmente buttare via risorse. Anzi, da questo quadriennio abbiamo abolito i contributi ‘a pioggia’ agli juniores, piccoli contributi di 1000 o 2000 euro su base annua che, alla fine, non aiutavano veramente nessuno. Oggi individuiamo gli atleti – sia senior, sia giovanili – su cui investire e concentriamo le risorse su quelli. In questo modo il contributo che diamo oggi a questi ragazzi è in grado di fare la differenza. Ma una simile politica di sostegno finanziario può essere fatta, lo ripeto, soltanto da un certo livello di interesse nazionale/internazionale in su. A livello di singole società, invece, si potrebbe pensare a una sorta di ‘redistribuzione dei redditi’, se mi permette la terminologia. Mi spiego meglio: con quello che si incassa dai bambini dei corsi di avviamento e dagli adulti, che rendono molto di più quello che costano, si può pensare di supportare economicamente i giovani atleti più promettenti, ma che non sono ancora a livelli così alti da giustificare l’intervento della Federazione. Si possono supportare contenendo i prezzi dei loro pacchhetti ghiaccio e allenatori, per permetter loro di andare avanti e poi vedere se sbocciano”
Parliamo però di società il cui scopo è quello di perseguire un profitto…
“È vero. È però anche vero che per una società sportiva avere degli atleti di prima linea, di spicco, è un traino anche economico, perché lo sport lavora tantissimo per emulazione. Se tu vedi che in quella società ci sono Bianchi, Rossi e Verdi che sono atleti nazionali o internazionali, è un fatto promozionale per quella società. L’unico modo che vedo in questo momento per finanziare le giovani promesse è all’interno delle società: far pagare di meno quei 10-15 su cui ho delle ragionevoli speranze che possano emergere. Questa è l’unica risposta alla domanda su come aiutare i giovani promettenti”
Prima di questo vostro intervento mirato, quanti atleti pensi si possano essere persi per strada per il fattore economico?
“Difficile rispondere in modo serio. Sicuramente il costo della pratica sportiva è un fatto che non aiuta. Intuitivamente posso immaginare che un certo numero di atleti, ma questo vale anche al di fuori dello sport, si siano persi per questo motivo. Il pattinaggio, poi, è sicuramente uno sport particolarmente costoso perché deve essere praticato in un impianto interamente artificiale. Gli impianti sono tutti abbastanza vecchi quanto a generazione del ghiaccio. Quindi il costo dell’energia per alimentare un impianto è di regola elevatissimo. Poi il pattinaggio necessita di allenatori con una specializzazione molto peculiare. Sicuramente è uno sport dove per il costo, per le difficoltà, perché magari il bravo maestro sta a 100 km da casa tua, le possibilità di arrivare fino in fondo sono limitate”
C’è anche il fattore “geografico” che fa sì che molti, non si perdano per strada, semplicemente perché non partono proprio. Parlo di tutto il Centro-Sud, praticamente privo di impianti, dove è comunque impossibile anche solo sapere se tu avresti potuto essere uno di quei talenti che hanno calcato in questi giorni la pista del Forum di Assago.
“Infatti, noi abbiamo questa limitazione per cui ci sono tantissimi ragazzi che non hanno mai avuto la possibilità anche solo di provare. Al Nord ci sono poche piste nei capoluoghi di provincia, ad Aosta, Torino, Milano, Como, Varese e Bergamo. Nel Nord-Est, solo Bolzano e Padova. Poi ovviamente ci sono le piste nei piccoli paesi, come si diceva. Allora, quanto è più probabile che a Novara, Verona, Trieste, ci possano essere dei ragazzini che avrebbero potuto diventare dei campioni? E parliamo solo del Nord, dove almeno ci sono le piste. Giù poi c’è il vuoto. Pensiamo solo all’Emilia. L’Emilia è una regione che ha una tale tradizione sportiva nel sangue che se si guarda a tutti gli sport che sono sbarcati in Emilia hanno avuto successo. In Emilia abbiamo soltanto una pista a Fanano e una a Cerreto Laghi. Roma ha una pista a Mentana, a parecchi chilometri dalla città. Eppure Roma ha una richiesta incredibile”
Come costruire a livello di istituzioni, un futuro del pattinaggio italiano che ci permetta di competere alla pari con gli atleti dell’Est?
“Personalmente, se avessi la bacchetta magica, non creerei risorse finanziarie, ma impianti. Perché gli impianti permettono di creare grandi società che si fanno grande concorrenza, permettono di avere il grande pubblico e quindi di avere anche i grandi sponsor. Si dovrebbe far capire agli imprenditori che il pattinaggio in un contesto urbano è un business. Perché se mettiamo gli impianti in tutte le grandi città, portiamo avanti più atleti e diamo una maggiore visibilità a questo sport. Sono convinto che poi anche gli sponsor arrivano. Gli atleti li avremmo, sono gli impianti che ci mancano. Faccio questo esempio, a Firenze c’è una società che si allena su una pista, non regolamentare, credo 15 x 36 mt., collocata all’interno di un centro commerciale, aperta pochi mesi all’anno. Eppure hanno 100 atleti, che fanno pressoché tutti gare amatoriali intersociali, perché allenandosi in quelle condizioni non si può fare attività agonistica. Proviamo a immaginare se Firenze avesse un vero impianto. Sono convinto che anche a Milano, se ci fossero sei piste sarebbero comunque tutte piene perché c’è una richiesta pazzesca e gli impianti sono sovraffollati”.