Lance Armstrong. Il bandito è il campione
Armstrong è sinonimo di qualità. Era modulata da un Armstrong, la voce ruvida e avvolgente levatasi dalle rive del Mississippi per conquistare il mondo. Fu un Armstrong il primo a varcare, letteralmente, i confini terrestri per appoggiare il piede sul suolo lunare. È stato un Armstrong uno dei più grandi sportivi di inizio secolo, il dominatore incontrastato della corsa ciclistica su strada più dura. Anzi no. Il terzo Armstrong, in questa lista, è un intruso.
L’Armstrong del ciclismo, Lance, si impone all’attenzione del pianeta nel luglio del ’99. Impatta la Grande Boucle con la forza di un maglio, dopo qualche buon piazzamento al Mondiale e alla Vuelta . Soprattutto, nel suo palmarès annovera una vittoria contro il cancro. Siamo al Tour del rinnovamento, della tolleranza zero verso il doping, dopo lo scandalo Festina. Il ciclismo ha bisogno di nuovi alfieri e si aggrappa disperatamente a Lance e al suo vissuto di sofferenze e rivalsa, all’uomo che sfida senza paura il Sestriere e l’Alpe d’Huez, il cancro e la chemio. E vince. “La lotta contro il cancro l’ho vissuta come una competizione atletica” dirà Lance. “Per questo perdere, per me, equivale a morire”.
Si presenta al Tour cambiato nel fisico e nella mente. Ha compensato la perdita di massa muscolare, annichilita dalla chemioterapia, ricalibrando il suo fisico, rafforzando la resistenza aerobica. Scala i massicci silenziosi della Francia con una frequenza di pedalata stratosferica, mai vista a quelle pendenze. Incredibilmente, la malattia non ha intaccato il suo sistema ematico. Il ragazzotto texano con la faccia da marine non corre solo per la gloria sportiva, corre per qualcosa di più alto e nobile. È un simbolo e dà speranza. Vince sette Tour di fila, come nessun altro prima di lui.
Lance Armstrong, il pioniere dell’EPO
Ma la favola ha un dietro le quinte a tinte fosche. Il sogno americano si rivela un sogno sintetico, il principale sognatore un baro. Al Tour della svolta pulita e sostenibile, Lance si presenta con le sacche di eritropoietina sotto il braccio. È un pioniere dell’EPO, del doping scientifico, sistematico e in larga scala. Ancora più odioso è il suo atteggiamento da padrone e padrino. Il peloton ha le sue regole non scritte, teme l’americano, ne intuisce la potenza e sa che la pena per chi sbaglia è l’umiliazione pubblica, come succede a Simeoni. Armstrong ha scritto la storia del ciclismo, ma ha sbagliato registro. Ne ha fatto una storia di fantascienza con un po’ del giallo, ai limiti dell’horror.
Si ritira nel 2005, fra dubbi e polemiche. Ma non resiste. He cannot let it go. Torna tre anni più tardi, con la consueta dose di arroganza, per chiudere le questioni in sospeso con i suoi detrattori e, forse, per provare a se stesso che in fondo era tutto vero, che era lui il più forte, anche senza aiuti chimici. La Nike gli confeziona uno spot su misura per caricare il suo ritorno di significati altri, extrasportivi, come sempre è accaduto nella carriera dell’americano. Lo fa per chi lotta contro il cancro, dice lo sponsor. Il braccialetto Livestrong, rigorosamente giallo, frutta 5 milioni di dollari alla Lance Armstrong Foudation per la ricerca sul cancro. Ma il gran ritorno al ciclismo sarà la sua condanna e servirà solo a riaprire vecchie ferite in uno sport martoriato.
La ferita più lunga è quella che Armstrong lascia sugli almanacchi ciclistici: sette Tour mutilati del vincitore – non assegnati. Dopo la sentenza, nell’ambiente scatta un meccanismo di rimozione, si tenta di cancellare Armstrong dalla memoria del Tour, ma sarebbe importante tenerla bene a mente questa storia sordida, di farse e intrallazzi. Mentre i suoi protettori nelle alte sfere restano impuniti, Armstrong è squalificato a vita, spogliato degli allori, condannato a restituire i premi. È anche costretto a dimettersi a lasciare la Fondazione, per non comprometterne la reputazione. Perde tutto. Le vittorie che ha inseguito con ogni mezzo e a cui ha dedicato tutta una vita sono svanite.
Che cosa fa oggi Lance Armstrong?
Come si reagisce a una tale perdita, al fallimento assoluto, verrebbe da chiedersi. Podcast. Armstrong ha recentemente lanciato una serie di interviste podcast con personaggi più o meno famosi. Perché? “Perché no?” risponde lui. Ma non è finita qui.
Nella vita post-catastrofe dell’ormai ex ciclista c’è anche una linea di prodotti per gli sport di resistenza. Il sito web del nuovo brand è scarno, essenziale, criptico. “Dammi la tua mail per saperne di più”, ordina Lance dalla homepage. Evidentemente punta ancora sulla propria fama, su una storia che ha saputo coinvolgere tanta gente e scatenare tanta passione, quella del sopravvissuto che si fece dominatore, dello scalatore implacabile e indistruttibile. A prova di scandali. Resta la leggera ironia del voler creare prodotti sportivi per l’endurance, per gli sport di fatica. Proprio lui che la fatica l’ha guardata in faccia sulle vette del Tourmalet, del Mont Ventoux, del Galibier; la ha accarezzata e temuta. L’ha anche dominata e battuta, ma ha dovuto barare per farlo, per evitare la sconfitta. Una fatica che alla fine gli ha tolto tutto. Proprio a lui, l’uomo per cui perdere vuol dire morire.
Foto © Instagram Lance Armstrong