Daughters of the Sexual Revolution, la storia delle cheerleader dei Dallas Cowboys in un doc

Daughters of the Sexual Revolution - the Untold Story of the Dallas Cowboys Cheerleaders

Alla Festa del Cinema di Roma 2018 il documentario diretto dal candidato agli Oscar Dana Adam Shapiro

Daughters of the Sexual Revolution: the Untold Story of the Dallas Cowboys Cheerleaders racconta la storia delle cheerleader dei Dallas Cowboys ed è nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma. Anche se sembra un paradosso, la storia delle cheerleader della squadra di football è profondamente empowering e americana. Una storia di empowering iniziata con una spogliarellista.

Fino al 1967, i Dallas Cowboys avevano un gruppo di cheearleader appena usciti dal liceo, ma quando la spogliarellista Bubbles Cash scese le scale dello stadio durante il Superbowl e l’allora dirigente del club capì che avrebbe dovuto rinnovare la squadra delle cheerleader perché il football poteva essere anche intrattenimento.

La vera rivoluzione arrivò però a fine anni ’70 quando la guida delle cheerleader arrivò a Suzanne Mitchell, la donna che diresse le Dallas Cowboys Cheerleader dal 1976 al 1989. È lei la voce e il cuore del documentario, grazie a lei le 36 cheerleader acquisirono coscienza di sé e rispetto. Attraverso le parole della donna avviene la magia: le ragazze smettono di essere considerate un mero oggetto, diventano un desiderio per migliaia di tifosi di Dallas e non solo.

“Rappresentavano la bellezza acqua e sapone”, dice uno degli intervistati, e divennero il sogno di moltissimi. Ai provini, dopo l’inizio della gestione Mitchell, si presentarono in migliaia, ma per essere scelta non bastava essere bella, bisognava dimostrare di avere carattere.

Come raccontato nel documentario, le ex ragazze di Suzanne erano un autentico fenomeno alla fine degli anni ’70, tanto da comparire in Love Boat, in spot televisivi e da essere inserite dalla rivista Esquire fra le 75 donne più potenti della storia insieme alla “più vestita” Giovanna D’Arco.

Con le loro divise bianche e blu, gli hot pants e gli stivali bianchi, le cheerleader dei Dallas Cowboys divennero delle icone, ma per essere una di loro bisognava rispettare le regole ferree di Suzanne Mitchell: non chiedere biglietti gratis, non bere, non fumare, non masticare gomma, non mettersi in posa, non usare la divisa fuori dal campo, non parlare ai giocatori, né intrattenere alcun tipo di relazione con loro.

Suzanne, la prima donna in un posto di potere alla NFL all’epoca, che si autodefiniva come la “migliore amica o peggiore nemica” delle sue ragazze, riuscì a infondere alle cheearleader un senso di appartenenza ed empowerment. Mitchell riuscì a fare causa legale anche a un porno che usò l’immagine delle cheerleader. Al termine del documentario, Suzanne Mitchell racconta di essere stata vittima di stupro e come per lei fosse fondamentale dare alle sue ragazze che la consideravano una mamma iperprotettiva.

Quando Ted Schramm vendette la squadra a un multimilionario, la guida di Suzanne e le sue ragazze appesero la divisa blu e bianca al chiodo: “La lealtà per me è un valore fondamentale. Quando la guida del club cambiò decisi di licenziarmi per rispetto a Schramm e alle mie ragazze”.

Le cheearleader fecero dimenticare al Texas e all’America che Dallas era stata il teatro vent’anni prima dell’assassinio di JFK. Daughters of the Sexual Revolution: the Untold Story of the Dallas Cowboys Cheerleaders è diretto dal regista candidato all’Oscar Dana Adam Shapiro ed è un ritratto di un’anima dello sport spesso sconosciuta, ignorata e denigrata.

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Giornalista professionista e grande appassionata di cinema e serie tv. Scrive per diverse testate nel web.
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