Calcio e studio non sono in conflitto: ecco perché
Se con l’avanzare degli anni e delle categorie, molti bambini o ragazzi lasciano il calcio è anche perché si sentono spesso dire: “se giochi a pallone trascuri lo studio”. Me lo dicono spesso alcuni ragazzi che abbandonano anzitempo il percorso, ma anche diversi genitori. Inoltre, mi capita spesso di vedere durante gli allenamenti, bambini o ragazzi quasi terrorizzati dai compiti e dallo studio. Lo si intuisce da un atteggiamento troppo leggero o distratto durante le esercitazioni, oltre che dalle continue richieste di poter andare via prima a casa. Premessa: ho iniziato a giocare a calcio a 8-9 anni e da lì non ho mai smesso, facendo tutta la trafila delle giovanili fino alle categorie dilettantistiche. Il calcio mi ha sempre aiutato a stemperare tensioni e a scaricare nervosismi e delusioni accumulate durante la quotidianità. E non ha mai influito negativamente sui miei voti. Perché non deve continuare ad essere così anche per gli altri, mi chiedo sempre.
È chiaro che non siamo tutti uguali e non tutti vivono scuola e sport allo stesso modo, ma il consiglio che do sempre a ai miei ragazzi è, anche se decidessero di non proseguire con il calcio, di scegliere magari un’altra disciplina che sia più consona ai propri “tempi” di studio, svago etc. Lo sport in generale, e nello specifico il calcio, non devono essere considerati come una fonte di distrazione o un elemento deleterio per la vita scolastica. Chi pensa che sia totalmente vera la leggenda metropolitana secondo la quale: chi sogna di diventare calciatore perde di vista progetti futuri più realistici, si sbaglia di grosso. Ed è compito delle famiglie, degli istruttori, ma anche degli insegnanti, fare in modo che le nuove generazioni non perdano il contatto con la realtà.
La mia fortuna è anche quella di conoscere diversi insegnanti dei ragazzi che alleno, una cosa che mi consente di avere più chiaro il quadro di ciascuno di loro e di lavorarci anche su durante o anche tra le pause delle esercitazioni. Ricordando sempre che il calcio deve essere prima di tutto divertimento, ricordo sempre ai ragazzi quanto sia importante investire la maggior parte del proprio tempo in attività che nel futuro dovranno essere proficue. Ci sono esempi di grandi calciatori e sportivi che non hanno abbandonato mai il proprio percorso formativo, proprio perché non certi di poter diventare un giorno “ricchi e famosi”.
Calcio (e sport) uguale serenità
Il lavoro che si deve fare, insomma, è quello di far vivere il calcio con serenità, lasciando libertà di scelta. Solo così i ragazzi riescono a capire come si debba gestire il tempo a disposizione, quali siano le attività più “redditizie” e quali inutili. Il calcio vissuto come svago e divertimento, aiuta a dimenticare delusioni o latri ostacoli della quotidianità. Se un genitore o un insegnante carica di troppe responsabilità o addirittura impaurisce un bambino che va a scuola calcio, per lui sarà solo un peso e quando entrerà in campo non lo farà con la giusta serenità.
Ad ogni età bisogna essere liberi di poter fare ciò che “ci fa stare bene”, in particolar modo negli anni fondamentali per la crescita psico-fisica. La scuola aiuta alla crescita culturale, educativa, formativa, anche sociale, il campo di calcio può essere maestro di vita quotidiana. Stare nello spogliatoio, condividere un racconto di vita, fare la doccia assieme, sono piccole cose da incoraggiare e sostenere e i “grandi” dovrebbero solo sorridere di fronte ad un’esternazione di un figlio o di un alunno che dice: “mi piace giocare a pallone e non ho intenzione di rinunciare”.