Bikepacking: tre giorni sulle Alpi francesi
Tre tappe, 343 km e quasi 6000 metri di dislivello per un tour con Colle della Scala, Col du Granon, Col d’Izoard e Col de l’Agnel
A meno di un mese dall’esperienza estremamente positiva del bikepacking alpino raccontato in un precedente reportage crossmediale, ho deciso di ripartire improvvisando – con un occhio al meteo – un anello più breve sempre con partenza e arrivo a Torino e sempre sulle Alpi francesi.
Da Torino a Chantemerle (125 km, 2110 m dislivello)
La partenza è avvenuta alle 6.10 di mercoledì 26 agosto. Ho percorso i primi chilometri con le luci, uscendo da Torino sulla ciclabile del Campo volo che conduce a Collegno. Proprio nella cittadina dell’hinterland torinese ho visto sorgere l’alba. Dopo essere transitato ad Alpignano, Casellette, Borgone e Bussoleno, ho raggiunto Susa e da lì ho iniziato la prima vera salita dopo una cinquantina di chilometri di falsopiano ascendente.
I 4 chilometri di ascesa sono stati piuttosto piacevoli in virtù di un clima ancora fresco e solamente sulla successiva salita – quella che da Exilles conduce al bivio per Eclause-Forte del Fenil – ho iniziato a percepire una temperatura più consona alla stagione estiva. Queste due salite mi hanno portato oltre quota 1000. Dopo una breve discesa ho affrontato l’ultimo tratto pianeggiante della giornata, quello che precede Oulx.
Dopo una breve sosta a Oulx per rifornirmi d’acqua, sono ripartito in direzione di Bardonecchia. Nella località montana torinese ho fatto una pausa un po’ più lunga e poi ho iniziato a salire verso il Colle della Scala. Questa salita che inizia in Italia e termina in territorio francese è davvero molto bella, sia dal punto di vista tecnico che sotto il profilo paesaggistico.
I tornati ampi, il tratto che attraversa una rigogliosa pineta, il serpentone che si allunga sulla parte iniziale della Valle Stretta e le brevi gallerie che precedono la valletta del passo rendono questa salita davvero unica, fra le ascese inferiori ai 2000 metri sicuramente la più bella che io abbia affrontato.
In cima al passo ho trovato un folto gruppo di cicloturisti over 60 diretti verso Bardonecchia. Dopo avere scollinato mi sono goduto la discesa nella Vallée de la Clarée, facendo una sosta nel pittoresco borgo di Plampinet.
La parte restante della discesa fino a La Vachette è stata pura gioia cicloturistica: le condizioni climatiche eccellenti, il percorso parallelo al corso della Clarée e l’attraversamento di borghi che non sono stati devastati dalla speculazione edilizia d’alta quota degli anni Settanta e Ottanta mi hanno fatto raggiungere pienamente soddisfatto la cittadina di Briançon. Da lì ho pedalato per un’altra ventina di minuti fino a Chantemerle, località nella quale ho pernottato.
Ho percorso i 125 km in 10 ore a una media di 12,5 km/h.
Da Chantemerle ad Arvieux (60 km, 2245 m dislivello)
Dopo una sostanziosa colazione parto subito in salita: il Col du Granon mi mette immediatamente alla prova con le sue pendenze consistenti e regolari. Le condizioni meteo sono ideali e per superare gli oltre 1000 metri di dislivello impiego 2 ore e 20 minuti, un buon tempo considerando i miei bagagli e le numerose soste effettuate per scattare fotografie o girare video.
Da anni questa salita così vicina a tante altre già scalate precedentemente solletica la mia fantasia e devo dire che l’esperienza è al di sopra delle aspettative. A circa tre chilometri dalla fine della salita una marmotta mi attraversa la strada. È pasciuta, pronta ad affrontare i rigori della stagione fredda. È sempre un’emozione riuscire a vedere la fauna selvatica nel proprio habitat e su queste salite, una volta superati i 2000 metri, le marmotte sono davvero di casa.
Giungo ai 2406 metri del Col du Granon prima di mezzogiorno, mi godo il panorama del Pelvoux e della Barre des Écrins e scambio quattro chiacchiere con un’anziana signora proveniente da Tolone. Essendo asfaltato solo nel versante meridionale, il Granon obbliga i ciclisti su strada a percorrere la strada a ritroso fino a Chantemerle. Si tratta di una discesa molto tecnica: la strada stretta, i tornanti frequenti e le pendenze accentuate non permettono di lasciar correre il proprio mezzo.
Rientro a Briançon con il sole allo zenit, ma non fa troppo caldo e percorro i primi chilometri del Col d’Izoard a una buona andatura. Dopo cinque chilometri mi supera un bikepacker: si chiama Andrea e due settimane fa è partito da Udine per percorrere l’intero arco alpino. Mi racconta di non essere un ciclista ma un alpinista e di avere intrapreso questo viaggio quasi per scommessa. La bici gliel’ha prestata lo zio, lui l’ha adattata con tutte le borse necessarie per pedalare dal Friuli a Nizza. All’indomani del nostro incontro arriverà in Costa Azzurra dopo avere scalato il Passo della Mauria, le salite dolomitiche, lo Stelvio, alcuni dei principali passi svizzeri, Forclaz, Saisies, Iseran, Galibier, Izoard, Vars e Bonette. Una vera e propria impresa!
Mangiamo insieme prima dell’inizio della foresta di Cervières e poi lo lascio andare visto che ha un passo decisamente più deciso del mio. La salita del Col d’Izoard è sempre emozionante: le condizioni meteo sono ideali e salgo a passo di cicloturista, arrivando in vetta non troppo affaticato. Il colle è piuttosto affollato: tanti ciclisti e motociclisti.
La discesa è emozione pura: i tornanti iniziali, il passaggio nella Casse Deserte e poi la pineta che precede i rettilinei di Arvieux sono uno spettacolo indescrivibile. Arrivo ad Arvieux dopo aver percorso 60 km in 7 ore e 10 minuti, a una media di 8,4 km/h.
Da Arvieux a Torino (158 km, 1585 m dislivello)
La partenza da Arvieux (a quota 1700) è piuttosto fresca, specialmente perché in discesa. Arrivo a Chateau Queyras, località dominata dall’imponente Fort Queyras. Successivamente raggiungo Ville Vieille e seguo le indicazioni per il Col de l’Agnel. Le pendenze sono importanti, ma le fatiche del giorno precedente sono state metabolizzate da una bella cena e da una notte di sonno profondo.
Dopo pochi chilometri di salita ritrovo lo spettacolo che mi aveva già stupito nella mia prima scalata all’Agnel: La Demoiselle Coiffée. Un paio di chilometri dopo entro nel territorio del Parc naturél regional du Queyras. È difficile tradurre in parole l’emozione che scaturisce da questo paesaggio e anche le fotografie non riescono a rendere a pieno l’idea. Non è soltanto l’armonia dei pascoli che si alternano alle foreste, a incantare è anche il modo in cui i villaggi disseminati sulla strada che sale al Col de l’Agnel hanno conservato la loro anima antica senza svendersi al miglior offerente.
A Molines-en-Queyras, però, è l’olfatto a prendere il sopravvento. Entro in una panetteria per fare provviste per il pranzo e prendo un croissant per fare la mia seconda colazione. Uno non basta, faccio il bis. La panettiera vedendomi rientrare ride di gusto. Non appena finisco di mangiare e mi rimetto la mascherina, un signore mi avvicina e mi chiede se pedalerò indossandola. Mi dice di essere stato un ciclista dilettante e di avere corso nella stessa squadra di Jacques Anquetil.
Julien Fritz è marsigliese, ha 85 anni, ma si muove e parla con l’entusiasmo di un ragazzo. Mi spiega di non essere mai diventato un professionista a causa della guerra di Algeria. Tornato in Francia, ha conosciuto la moglie e sono sposati da 63 anni. Lei ha fatto la spesa nella panetteria delle meraviglie, lui si congeda e li vedo andarsene tenendosi per mano.
La giornata è splendida: c’è il sole, ma non fa troppo caldo. La salita non è impossibile e il colpo d’occhio è straordinario. A una decina di chilometri dallo scollinamento i villaggi finiscono e rimaniamo soltanto io e la montagna. Restano 750 metri di dislivello da superare e le nuvole che si addensano in prossimità del Col de l’Agnel mi mettono letteralmente le ali ai piedi. Cosa più unica che rara, mi ritrovo con il vento a favore. Negli ultimi chilometri le pendenze si fanno davvero arcigne. Si pedala spesso in doppia cifra e superati i 2500 metri anche l’aria è piuttosto fredda.
Arrivo in cima poco dopo mezzogiorno e poi comincio una discesa di 60 chilometri che mi porta sino a Verzuolo in meno di due ore. Le salite sono finite ma non sono ancora a casa. Resta molta pianura da percorrere e le nuvole che si stagliano minacciose all’orizzonte non promettono nulla di buono.
Superata Saluzzo mi dirigo verso Cardè e poco prima di Vigone mi innesto sulla pista ciclabile Moretta-Airasca. Pedalo da solo in mezzo alle conseguenze del nubifragio che poco prima si è abbattuto sulla zona. Sei o sette alberi sono riversi sulla pista ciclabile e in alcuni tratti mi costringono a scendere dalla bici e a proseguire a piedi.
A un certo punto la pioggia arriva, insieme al sole. Pedalare sulla pista ciclabile mi dà una certa sicurezza, ma i tuoni alle mie spalle sono un invito a non prendermela troppo comoda. Avvicinandomi a Torino vedo due arcobaleni e quando arrivo alle porte della mia città, la pioggia mi sorprende nuovamente.
Chiudo la terza e ultima tappa del mio bikepacking – 158 km – in 9 ore e 55 minuti a una media di 15,9 km/h. L’estate volge al termine, non resta che sognare nuovi itinerari per i mesi caldi del 2021!
Foto Davide Mazzocco / Izoard Photos