Bikepacking sulle Alpi italo-francesi: il reportage e il videociclodiario
Un videociclodiario e un reportage del tour alpino in autonomia di Davide Mazzocco: 569 km e 11130 m di dislivello con le ascese a Moncenisio, Télégraphe, Galibier, Izoard, Vars, Bonette e Lombarde
Nelle settimane del lockdown ho pedalato tutti i giorni per 20 chilometri su di una cyclette e quando lo scorso 4 maggio è stato dato il via libera ai ciclisti ho frantumato qualsiasi precedente personale primato chilometrico e altimetrico: fra maggio e giugno ho pedalato per 2030 chilometri superando un dislivello di 28.730 metri.
Cancellate tutte le manifestazioni alle quali avrei voluto partecipare e raggiunto in primavera uno stato di forma che solitamente acquisivo ad agosto e settembre, mi è venuta l’idea di provare a fare un bikepacking (qui vi ho spiegato cos’è) sulle Alpi italo-francesi, salite per cui provo una passione smisurata e che vi ho già raccontato in numerosi post sulle pagine di Sport Folks.
È nata così l’idea del #bikepackingalps2020, un tour alpino con partenza e arrivo a Torino e le scalate ai colli Moncenisio, Télégraphe, Galibier, Izoard, Vars, Bonette, Lombarde e Fauniera. Nelle due settimane precedenti la partenza, un’intensa attività lavorativa non mi ha permesso di preparami al meglio, ma la base di condizione costruita nei mesi invernali, mantenuta nel lockdown e consolidata con il lavoro sulla resistenza di maggio e giugno, mi hanno permesso di affrontare la partenza con ottimismo. Di questo e di tutte le questioni logistiche, però, vi parlo in un post a parte.
1a tappa – Torino – Saint Michel de Maurienne, 133 km (2295 m dislivello)
Sveglia alle 5.15, partenza alle 6.30. Dall’alba torinese capisco che sarà una giornata molto calda. Sulle mie spalle e sotto la mia sella ci sono sei chilogrammi di bagaglio. Nella risalita della Valsusa non trovo vento contrario e già questo è un buon inizio conoscendo l’ostinazione con cui soffia sempre a sfavore quando si punta verso la Francia. Inizio a salire verso il Colle del Moncenisio alle 9. Dopo 50 chilometri di falsopiano ascendente, il brusco cambio di pendenza si fa sentire, specialmente perché accompagnato da temperature che già sfiorano i 30 gradi.
Conosco bene il Moncenisio, si tratta di una salita ingannevole che ti fa credere di avere chiuso la faccenda due volte, quando superi il confine Italia-Francia e quando ti metti alle spalle i tornanti della Gran Scala, un serpentone d’asfalto che ti porta al livello del lago. Niente da fare, quando inizi a vedere le acque azzurre del Lago del Moncenisio la fatica non è finita: i tratti di salita e discesa continuano ad alternarsi per altri 7 chilometri. Stavolta in quota non c’è vento. Dopo aver fatto una pausa a Bar Cenisio, faccio un secondo rifornimento al Plan des Fontainettes. Arrivo al Colle del Moncenisio poco dopo le 14 e mi butto in discesa convinto di arrivare rapidamente alla meta di giornata. Dopo i primi 10 chilometri, però, la discesa è smorzata da numerosi tratti in contropendenza, ma soprattutto da un persistente vento contrario.
L’alta temperatura e le otto ore già trascorse in sella mi costringono a fermarmi a causa di un affaticamento ai piedi. Superata Modane riprendo slancio e arrivo a Saint Michel de Maurienne a metà pomeriggio. La tappa più lunga del mio bikepacking sulle Alpi è andata.
2a tappa – Saint Michel de Maurienne – Le Monetier-les-Bains, 58 km (2080 m dislivello)
La partenza della seconda tappa è subito in salita. Il Col du Télégraphe è un salita piuttosto piacevole, con molti tratti ombreggiati, pendenze tutto sommato contenute che permettono anche a un bikepacker di tenere un’ottima andatura. Nonostante le pause fotografiche e alimentari arrivo in vetta in un paio d’ore, ma i 12 chilometri della prima salita del giorno sono solo un anticipo in scala di quello che mi attende dopo la discesa verso Valloire. In questo divertimentificio d’alta quota turisti e villeggianti non mancano e le mountain bike elettriche impazzano. Ci sono parecchi bikepacker, ma nessuno è lento come me. Ho sempre un alibi per fare una sosta: una foto, un video, un sorso d’acqua, contemplare le valli dall’aspetto lunare che si allungano come rami dalla strada che sale al colle. Mi fermo per una sosta più consistente a Plan Lachat. Il gestore di un piccolo bar mi dice che l’afflusso turistico è inferiore agli scorsi anni, ma sulla strada è una continua panoplia di auto, moto e bici.
Riparto. Dopo Plan Lachat la situazione si fa seria, incominciano i tornanti e le rampe che superano il 10%. Il panorama è formidabile. Superati i 2000 metri la temperatura si fa più mite. In prossimità del tornante in cui Marco Pantani scattò nel Tour de France del 1998 per andarsi a prendere la maglia gialla, un monumento ne ricorda l’epicità dell’impresa. Me lo ricordo il titolo de L’Equipe il giorno successivo: C’est un géant.
Gli ultimi chilometri del Col du Galibier sono un’eterogenea babele di velleità ciclistiche: chi vuole arrivare in cima per la prima volta, chi vuole abbassare il proprio personale, chi sale con l’ausilio di un motore e chi si guadagna coi muscoli la meraviglia che solo la montagna sa offrire.
In vetta si fa la coda per farsi uno scatto davanti al cartello che certifica l’impresa, mentre il monumento a Henri Desgrange che si trova poco più in basso è meno attraente per i ciclisti e assolutamente ininfluente per chi va a benzina…
La discesa aerea verso il Col de Lautaret richiede prudenza, quella successiva è velocissima, un lungo rettilineo che punta verso Briançon e che consente di scivolare per molti minuti a 50 km/h senza nemmeno un colpo di pedale. Per i discesisti è pura estasi. Arrivo a Le Monetier-les-Bains a metà del pomeriggio.
3a tappa – Le Monetier-les-Bains – Jausiers, 108 km (2625 m dislivello)
Nella discesa verso Briançon il traffico ha una densità metropolitana, ma l’educazione è transalpina. Gli automobilisti italiani dovrebbero imparare il rispetto per i ciclisti dagli omologhi francesi, idem i ciclisti eh, visto che Oltralpe è altrettanto raro vedere biciclette appaiate sulle strade aperte al traffico motorizzato.
Il caldo nei primi chilometri del Col d’Izoard è a dir poco minaccioso. Capisco subito che sarà una giornata lunghissima. Mi fermo a prendere acqua a Cervières e poi inizio a fare sul serio nella splendida pineta del versante settentrionale. Le pendenze si fanno più consistenti, ma l’immersione nel verde è un potente mitigatore della fatica. Io faccio parte della minoranza che preferisce questo versante a quello meridionale, più amato e celebrato nell’ultracentenaria storia della Grande Boucle. Dopo lo scollinamento, è doverosa una breve sosta alla stele che, nella Casse Déserte, ricorda Fausto Coppi e Louison Bobet.
La discesa verso Arvieux è velocissima (in un punto tocco i 73 km/h!). Mi fermo per mangiare e rifornirmi di acqua e scambio due chiacchiere con un gruppo di italiani che sta risalendo verso la vetta. La canicola è opprimente. La discesa verso Guillestre è più complicata del previsto: un vento contrario si infila caldo nelle barocche volute delle Gorges de Guil rallentando la mia andatura e facendomi ricorrere troppo spesso alla borraccia.
All’attacco del Col de Vars il caldo è martellante. Finisco l’acqua e ho una piccola crisi. Mi fermo su un jersey a bordo strada e chiedo a un automobilista se vi sia una fontana o un bar nei chilometri successivi. Questo mi fa segno di aspettare e dopo qualche minuto torna e mi offre del succo di frutta che ha in auto. Lo accetto e lo ringrazio per il gesto di generosità. Prendo degli zuccheri a rapida assimilazione e in un modo o nell’altro riesco ad arrivare a Saint-Marcellin. Credo di non avere mai desiderato tanto dell’acqua in sella a una bicicletta come in questa occasione. Finalmente una fontana! Dopo avere bevuto il giusto e avere riempito le mie due borracce riparto con un buon ritmo e risalgo fino alla cima del Vars. Sono le 18 e mi aspetta ancora una lunga discesa fino a Jausiers.
4a tappa – Jausiers – Isola 2000, 83 km (2855 m dislivello)
Se c’è un colle alpino al quale sono particolarmente legato, questa è la Bonette, il valico più alto d’Europa e uno dei primi che ho affrontato quando ho iniziato a “collezionare” passi oltre i 2500 metri. A soli due anni dalla prima scalata del versante settentrionale, torno ad affrontare questa ascesa stavolta con il bagaglio. A differenza della tappa precedente parto con un buon ritmo. Dopo qualche chilometro mi aggrego a due cicliste austriache del team Dynamo Neubau, Katia e Barbara. Mi raccontano di avere intrapreso un tour alpino con mezzi al seguito e di pedalare una volta ogni due giorni. Barbara mi spiega di non essere una ciclista, ma una maratoneta. Riesco a tenere il loro ritmo fino a metà salita, poi continuo con il mio consueto ritmo cicloturistico, fatto di pause, contemplazioni e reintegrazioni idriche e alimentari.
Negli ultimi 7 chilometri mi abbandono alla contemplazione del paesaggio. La sommità conica che culmina nella Cime de la Bonette, con il suo aspetto pietroso e lunare, ha un magnetismo particolare. L’anello che dal Col de Restefond consente di salire al Col de la Bonette è stato ripristinato e ci pedalo per la prima volta in ascesa. Arrivo in vetta in quattro ore, mi godo il panorama, butto un occhio verso valle e noto la risalita dei larici. Scambio due chiacchiere con un ciclista proveniente da Vinadio e impegnato in un tour de force giornaliero e poi con un gruppo di motociclisti provenienti da Nizza. La Bonette, con i suoi 2802 metri, rappresenta per un ciclista ciò che il Monte Bianco è per un’alpinista: un’impresa da fissare nella memoria in modo indelebile.
La discesa mi regala emozioni altrettanto intense. I paesaggi totalmente deantropizzati del versante meridionale rappresentano un’oasi e, anche in una domenica di agosto, il traffico resta decisamente limitato. Giunto a Saint Etienne de Tinée, continuo la discesa della valle fino a Isola pedalando per lunghi tratti su una bellissima pista ciclabile in sede propria.
L’attenzione per i ciclisti è altissima. Tutte le salite hanno dei pannelli chilometrici che scandiscono il countdown verso la vetta, indicando la quota e la pendenza del chilometro successivo. Non è una cosa da poco. In ogni momento il ciclista è messo nella condizione di sapere quale sforzo dovrà esprimere. Sul Col d’Izoard e sulla Bonette le bike lane sono la rappresentazione plastica del rispetto verso chi pedala.
Giunto a Isola inizio a salire verso il Col de la Lombarde e i primi chilometri sono una specie di shock. Un po’ per le pendenze (i primi chilometri hanno una gradiente medio del 9%), un po’ per il paesaggio, chiuso e quasi opprimente. È come se di colpo mi venisse addosso tutta la fatica che nella Bonette era stata anestetizzata dallo stimolo della scalata apicale e dalla bellezza del paesaggio. In più ci sono ben cinque gallerie da superare, un elemento che rende spiacevole qualsiasi scalata ciclistica.
La seconda parte dell’ascesa ha pendenze più leggere e in prossimità di Isola 2000 la valle si apre, con le conifere che prendono il posto delle latifoglie. Per chi, come me, cerca essenzialmente una natura integra arrivare a Isola 2000 è una sorta di shock. Gran parte del centro abitato di questa località sciistica è rappresentato da un edificio lungo circa un chilometro che ingloba alberghi, appartamenti, esercizi commerciali, bar e ristoranti. Quando chiedo informazioni sul mio albergo mi dicono che si trova al termine dell’Édifice, l’Edificio. Una distopia in alta quota che solo la tartiflette definitiva della mia cena riesce a mitigare.
5a tappa – Isola 2000 – Pradleves, 79 km (775 m di dislivello)
Parto presto e pedalo gli ultimi 4 chilometri di salita che mi portano in cima al Col de la Lombarde. Regna il silenzio. In cima al colle una famiglia si sta svegliando dentro un camper e mi offre del caffè. Poco più in basso incrocio un giovane bikepacker che sta salendo molto forte. Scambiamo due parole in inglese sul meteo. Riprendo a scendere e poco dopo vedo qualcosa in mezzo alla strada. Nel momento in cui stringo le leve del freno realizzo di trovarmi di fronte a un lupo. Avviene tutto nel giro di 5-6 secondi. Sono a 40 metri, non di più. Il lupo è perpendicolare alla mia ruota anteriore, ma deve avermi annusato già da tempo. Lui si volta, mi guarda, compie un mezzo giro e risale verso la montagna infilandosi nella foresta. Io sono incredulo, tremo e non solo per il freddo. Nel momento in cui attraverso il punto in cui ho visto l’animale, un brivido mi corre lungo la schiena. Scendo per un paio di chilometri e chiamo mio padre e mando un messaggio a un amico per raccontargli questa cosa.
Questa discesa ha davvero qualcosa di eccezionale: una dozzina di chilometri più in basso pedalo il mio centomillesimo chilometro. Dal 7 luglio 1990 ho sempre segnato tutti i chilometri fatti in bicicletta e questo tour alpino è stato anche un modo per celebrare questo traguardo pieno zeppo di vita ed emozioni.
Continuo la discesa fino a Vinadio, poi arrivo a Demonte e, vedendo le nuvole cariche di pioggia decido di rinunciare all’ultimo colle del tour, il Fauniera. Giunto in prossimità di Borgo San Dalmazzo inizio a sentire le prime gocce. Accelero il ritmo. Mancano una ventina di chilometri per arrivare all’albergo. Imbocco la Valgrana all’asciutto, ma quando arrivo nella frazione di Levata, la pioggia inizia a farsi consistente. Mi rifugio sotto una tettoia e si scatena un acquazzone violentissimo. Sotto i miei piedi scorrono rigagnoli d’acqua. Aspetto che spiova e arrivo in albergo col sole. Finalmente un pomeriggio di relax in cui mi dedico alla lettura.
6a tappa – Pradleves – Torino, 108 km (500 m di dislivello)
Dopo il temporale del giorno precedente (talmente violento da isolare le comunicazioni di questo tratto di valle), è una bella giornata di sole. Scendo fino a Valgrana e poi salgo fino a Montemale, un’ascesa breve e impegnativa, ben ombreggiata, che separa le valli Grana e Maira. Transito a Dronero e supero la Colletta di Rossana. In pianura le gambe girano che è una meraviglia: 30-35 km/h.
La temperatura eccellente e l’assenza di vento rendono quest’ultima tappa di rientro davvero piacevole. Superata Saluzzo, raggiungo Torre San Giorgio e da lì arrivo a Moretta. Questo viaggio che ritengo ormai concluso mi riserva un’ultima sorpresa: la pista ciclabile Moretta-Airasca. La vecchia ferrovia che univa queste due località delle province di Cuneo e di Torino è diventata una ciclabile in sede propria fra le più belle che mi sia capitato di percorrere. In corrispondenza delle vecchie stazioni, infatti, sono stati creati dei punti tappa al coperto con fontana. Gli attraversamenti sono realizzati per garantire la sicurezza dei ciclisti, il fondo stradale è perfetto, privo di buche o del fastidioso brecciolino che rende inutilizzabili molte piste non manutenute.
Dopo Airasca altri tratti di ciclabile mi portano sino a Volvera e a Orbassano. Arrivo a Torino nel primo pomeriggio soddisfatto e felice: 569 km e 11130 metri di dislivello, in 46 ore e 5 minuti.
Foto Griffe Photos