Allos, Champs e Cayolle, un trittico da sogno sulle Alpi francesi
Tre colli alpini, 118 chilometri, 3270 metri di dislivello (e 23 marmotte) nelle valli Ubaye, Var e Verdon.
A un certo punto, quando mancavano 11 chilometri e mezzo alla vetta del Col d’Allos, sono uscito da un tornante e mi sono trovato di fronte una specie di trono piazzato dalla Natura per ricordarci quanto siamo minuscoli: un massiccio roccioso dominante prati, pinete, una casa diroccata e una cappella di montagna. È stato un attimo di euforia, le lacrime mi hanno offuscato la vista e per un attimo il paesaggio – bello da mozzare il fiato – si è fatto acqueo.
Per capire perché bisogna fare un salto indietro di dieci anni. In questo flashback ci sono io che sto salendo sul Col de Vars sotto una pioggia leggera. Scambio due parole con il temporaneo compagno di strada, un signore francese che mi spiega che, a livello paesaggistico, i colli più belli delle Alpi francesi sono Cayolle e Allos. Io li conosco poco. Sull’Allos il Tour de France è transitato soprattutto fra gli anni Venti e gli anni Quaranta, sul Cayolle è passato solamente tre volte, l’ultima nel 1973. Izoard, Galibier, Alpe d’Huez e Glandon sono nomi con i quali gli appassionati di ciclismo hanno dimestichezza, ma Allos e Cayolle restano al margine della storia della Grande Boucle. Il consiglio del signore transalpino che mi segnala il primato paesaggistico delle due salite comincia a fare il suo lento lavorio nella mia fantasia di ciclista. E per dieci anni questo vagheggiamento rimane un sogno di carta o di bit, a seconda del supporto con cui fantastico sulla doppia ascesa.
In questo intervallo di tempo c’è la vita con le sue incombenze, le sue priorità e le sue occasioni. E con l’allenamento “duro” che queste salite impongono. Anche perché – scopro solamente un anno fa – se si vogliono scalare i due colli con un giro circolare occorre passare dal Col des Champs.
Ad aprile, dopo avere portato a termine la mia prima randonnée di 200 km faccio un piano di massima per provare a mettere in fila i tre colli in un tour di un giorno. Ho 41 anni, un paio di migliaia di chilometri nelle gambe, ma soprattutto la testardaggine di chi ha un chiodo fisso da dieci anni. E allora si parte.
Il giorno prima del tour alpino arrivo a Jausiers, mi sistemo all’Hotel Sans Souci (senza preoccupazioni, porterà bene?) e per scaldare la gamba e acclimatarmi salgo fino a Pra Loup, una storia che vi racconterò in separata sede. Una bella dormita, una robusta colazione e al mattino trovo il sole e l’assenza di vento ovverosia le condizioni ideali per l’impresa che mi accingo a compiere.

Col d’Allos, il trionfo della Natura
La partenza è a Barcelonnette, più precisamente al bivio fra la D908 e la D902. In questo punto ci sono due cartelli divergenti: a destra si sale sul Col d’Allos, a sinistra sul Col de la Cayolle. Imboccando la D908 il mio anello si chiuderà proprio con la D902. Sono da solo e in totale autonomia. Nello zaino ho il mio cellulare, le chiavi dell’auto e di casa, il portafoglio, una barretta alla mela, una brioche, due bustine di sali minerali, un k-way, una maglia a manica lunga e gli occhiali da vista.
La strada che porta fino al bivio per Pra Loup è ampia, poi la carreggiata si restringe e comincia una fase contraddistinta da alberi e rocce. Nei primi 6 chilometri le pendenze oscillano fra il 6% e l’8%. Si attraversa un lungo ponte e sulla sinistra si può vedere la strada sulla quale si transiterà al ritorno, scendendo dal Col de la Cayolle.
Ed ecco che arriviamo alla svolta a cui facevo riferimento all’inizio, quella a 11,5 km dal termine. D’un tratto è come se la salita dell’Allos alzasse il sipario: si fa una curva a destra e ci si trova di fronte a un immenso massiccio roccioso, boschi d’alta quota e prati verdi. Sono commosso, un po’ per la bellezza del paesaggio, molto per il modo in cui mi sto guadagnando questo sguardo, vale a dire con le gambe e con i polmoni, con il cuore e con la testa. E perché gambe, polmoni e cuore seguano ciò che la testa comanda ci vogliono tutti i chilometri che ho fatto negli ultimi mesi, le salite e le discese, anche quei noiosi allenamenti di inizio stagione in cui fatichi come un matto solo per trovare la forma. Se vi sembra poco, credetemi: ci si commuove per molto ma molto meno.
Perché la bici così come la vivo in questo momento è una perfetta connessione fra la mia Memoria, la Natura, il mio Corpo e la Bicicletta che lo asseconda.
La Memoria pesca tutto quanto di questa salita ho fantasticato e mettendolo in relazione con lo stato delle cose mi restituisce un’esperienza capace di superare le pur alte aspettative.
La Natura mi mette alla prova, io microbico ed effimero homo sapiens sapiens impegnato su quella striscia di asfalto in mezzo al verde.
Il Corpo detta i tempi e i ritmi, si nutre di traguardi intermedi, si adatta allo sguardo e a una fruizione non agonistica dell’ascesa.
La Bicicletta fa il suo dovere. Gli ho regalato le ruote nuove e lei mi ripaga con scorrevolezza e reattività. Si può voler bene a un rombo irregolare di carbonio e a tutto ciò che lo fa diventare mezzo meccanico? Sì, si può.
Dopo la commozione, quindi, l’ascesa si fa mistica. Mi superano belgi, francesi e anglofoni. Io me ne infischio. Non devo arrivare prima di nessuno e non riuscirei ad arrivare prima di nessuno. Quello che mi interessa è, solo e soltanto, fare un’esperienza mai vissuta prima. Arrivare in cima e guardare la strada che mi sono lasciato alle spalle. È questo che conta. Non un tempo di percorrenza.
Non lo capite? Non è un problema mio.
Nell’ascesa mistica – diciamo gli ultimi 11,5 km – ci sono 3,4 km al 5,3% che attraversano un suggestivo bosco nel quale è presente l’unica fontana della salita. Dopo Les Angeliers si incontrano due tratti con pendenze superiori al 10%. La punta massima di pendenza è del 13%, ma l’andamento a tornanti alleggerisce l’ascesa.

Negli ultimi 3,5 chilometri la pendenza media è del 6,8%. Tranne alcuni tratti impegnativi, il Col d’Allos è comunque una salita abbordabile: in 17,5 km si superano 1108 metri, con una pendenza media del 6,3%.
La cima è lo spartiacque fra la valle dell’Ubaye e quella del Verdon. In vetta scambio quattro chiacchiere con Patrick, un francese che è arrivato dai Vosgi per collezionare un po’ di colli alpini.

Col des Champs, fatica e sete
La discesa verso Allos si può dividere in due parti: la prima, fino a La Foux, è ricca di tornanti, ha un fondo stradale piuttosto accidentato e alcuni tornanti privi di protezione, la seconda, fino ad Allos, è priva di tornanti e consente di raggiungere alte velocità.
Ad Allos è importante fare scorta d’acqua nella fontana situata di fronte all’Office de Tourisme. La discesa continua fino all’ingresso di Colmars. In questo frangente è necessario fare molta attenzione a non scendere fino al centro del paese: subito dopo avere superato il cartello che segnala l’ingresso a Colmars bisogna imboccare una stradina a sinistra prospiciente al Fort de Savoie.
Dopo 2h20’ di salita fino all’Allos e 45’ di discesa fino a Colmars attacco la salita al Col des Champs poco dopo mezzogiorno. L’ascesa è piuttosto impegnativa 11,5 km al 7,2%. Nei primi 8 chilometri si sale all’ombra, un elemento da tenere in considerazione visto che, partendo da Barcelonnette, l’ascesa al Col des Champs arriva comunque a metà giornata, sia che si compia il tour alpino in senso orario, sia che lo si compia in senso antiorario.
La fatica inizia a farsi sentire e anche la sete. Fa molto caldo e sono pochi i tratti in cui la pendenza si attenua permettendomi così di tirare il fiato. A metà salita c’è una fontana nella quale si può fare un secondo rifornimento. A un paio di chilometri dallo scollinamento si esce dal bosco e ci si ritrova allo scoperto. Noto un gruppo di quattro marmotte che si nasconde dietro a un rudere. Proseguo attraversando un piccolo guado e arrivo ai 2100 metri del Ravin de Marvallon. Una breve discesa e sono finalmente al Col des Champs.
Giusto il tempo per il selfie di rito col cartello alle spalle e poi giù in discesa. Nei primi chilometri si affrontano tornanti larghi, veloci rettilinei e brevi tratti pianeggianti, mentre nella parte conclusiva della discesa i lacet mettono alla prova le mie doti di pilota.
Arrivo a Saint Martin d’Entraunes e mi ristoro con una bibita al bar locale, dove i ciclisti che mi hanno preceduto hanno fatto piazza pulita di qualsiasi bene commestibile.
Ho impiegato 1h50’ nella salita del Col des Champs e 30’ nella successiva discesa, quindi 5h25’ per mettermi alle spalle i primi due colli. Ne manca uno soltanto, ma è il più lungo di tutti.
Col de la Cayolle, hic sunt marmotae
Nonostante la salita inizi a una quota 1035 metri il caldo è intenso. Partito da Saint Martin d’Entraunes mi metto a ruota di un gruppetto di inglesi e raggiungo Entraunes. I primi 5 chilometri di salita sono piuttosto facili: 3,9% di pendenza media e 20 minuti per percorrerli.
A Entraunes ultima possibilità di riempire la borraccia: bevo e mi rifornisco. Mangio un panino. Cerco di riposarmi un attimo e di raccogliere le forze. Il cartello che segnala la pendenza media degli ultimi 15 km non promette nulla di buono: 7%.
Potrei non trovare più acqua e, quindi, inizio a pormi dei traguardi intermedi nei quali sorseggiarne un po’. La salita al Col de la Cayolle, così come le precedenti all’Allos e al Champs, è scandita da pannelli che indicano la quota e i chilometri che mancano alla vetta. Si tratta di un’indicazione preziosa, specialmente quella sul dislivello mancante.
Il tratto più impegnativo dell’ascesa sono i primi 3,5 km dopo l’abitato di Entraunes: le pendenze oscillano fra il 7% e l’8%. Mi alzo en danseuse, uso il peso per accentuare la potenza espressa sui pedali. A metà pomeriggio fa ancora molto caldo.
Superato il Pont de Garibaldi la salita si alleggerisce per un chilometro per poi riprendere su pendenze superiori al 6,5% fino a Estenc. Superato il Refuge de La Cantonnière si affronta un tornante con pendenze superiori al 10%.
Dopo aver superato questo tratto mi fermo un attimo per rifiatare. Ho ancora 6,5 km da percorrere prima della discesa finale. Ci siamo solo io e la montagna. Niente ciclisti, niente automobili. Io e la montagna. Potrebbe essere un’altra ascesa mistica, ma lo spirito è ben diverso da quello che mi ha accompagnato sul Col d’Allos. Passa un’automobilista e mi incita. Dopo 2,5 km al 7,2% mi ritrovo su una rampa al 12,6%. La mia automobile è dall’altra parte: volente o nolente devo arrivare in cima. D’altronde di taxi quassù non ne passano.
In un tratto a tornanti di poco più di tre chilometri, con una pendenza media del 7,7%, noto una marmotta a bordo strada. Mi fermo. Lei si mette al sicuro a bordo strada, ma è curiosa e riesco a fotografarne la testolina che spunta. Mi rimetto a pedalare e dopo un centinaio di metri vedo un masso al centro della strada. Non faccio in tempo a volgere lo sguardo a monte che il sasso si muove: è una marmotta anche quella! Miopia? No, stanchezza. Solo il fischio delle marmotte rompe il silenzio. La loro compagnia mi distrae dalla stanchezza. Ne vedo altre due che attraversano la strada e il conto con il Col de Champs è pareggiato: 4 a 4.
Arrivo in cima poco prima delle 19, dopo 2h30’ da Entraunes. Con i suoi 3326 metri il Col de la Cayolle è più alto sia del Col d’Allos (2247 m) che del Col des Champs (2087 m). In giornata ho coperto un dislivello complessivo è di 3270 metri. Ultima foto davanti al cippo di pietra che divide le Alpi Marittime dalle Alpi dell’Alta Provenza e poi nuova discesa.
Credevo di avere finito il computo delle marmotte e invece… Una, due, tre… quindici! Hic sunt marmotae bisognerebbe scrivere sulle mappe. Inspiegabilmente, quando in mezzo all’erba percepiscono il mio arrivo, invece di fuggire in direzione contraria, le marmotte attraversano la strada. Io tiro un po’ i freni e faccio il mio censimento. Una di loro si infila a velocità supersonica dentro una tana.
Sono molto stanco e la discesa è di quelle in cui occorre pedalare. Mi fermo a una fontana. Me la prendo comoda godendomi il panorama. I chilometri di discesa sono 28, soltanto l’ultimo è pianeggiante. Chiudo l’anello alle 20 dopo essere partito alle 8.45. Togliendo al tempo complessivo le due ore di soste varie per mangiare, bere e documentare la giornata la pedalata è durata 9h15’.
La mia VAM (Velocità Ascensionale Media) è stata di 474,8 m/h sulla prima salita, di 456 m/h sulla seconda salita e di 425,5 m/h sull’ultima ascesa. I tre dati evidenziano uno scadimento della performance dovuto alla stanchezza. Tre i chilogrammi persi durante questo itinerario. Questo se si vuole ridurre tutto in numeri.
Alla sera, però, nonostante la stanchezza mi parta dai lobi delle orecchie per arrivare agli alluci non riesco a prendere sonno. Difficile mettere il freno all’adrenalina dopo una pedalata del genere, al termine di questa giornata impossibile da dimenticare.
Ecco la planimetria di questo tour alpino:
Ed ecco l’altimetria:
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